In un episodio di Nebbie e Delitti 3 – non chiedetemi perché a tarda notte mi diletti con questo tipo di fiction –  il personaggio del Commissario Soleri, interpretato da Luca Barbareschi, ironizzando su internet cita niente po’ po’ di meno che “Facebook”.
Apparentemente non c’è nulla di strano, evidentemente gli  sceneggiatori e i dialoghisti non hanno saputo resistere, giustamente, alla tentazione di far pronunciare ad uno dei personaggi, il famigerato-onnipresente social network.

In effetti non c’è nulla di strano, ma a me piace partire anche dai piccoli segnali per riflettere su questi famigerati-onnipresenti social network.

Famigerati-onnipresenti, non certo un complimento e non voglio fare la solita filippica su quanta “spazzatura” ci sia nella rete, dal sapore un po’ conservatore. Ma vorrei riflettere invece, su questa corsa ai social network che spesso inizia con grande entusiasmo e poi si disperde nelle mille attività e impegni.

Perché molte sono le aziende che vedono nei social media una sorta di miraggio per migliorare i rapporti con propri clienti/fornitori, per aumentare la loro “reputation”, e così via.

Quello che penso è che i social media siano uno strumento importante e utile, a volte usato male (ma questo è normale perché l’utilizzo non dipende mai dall’oggetto ma da chi lo usa), a volte demonizzato, a volte ….

Ciò che però non viene detto a chiare lettere è che “usare” i social media comporta un vero e proprio lavoro, attento e costante, che non si può pensare a magici meccanismi automatici degli stregoni del web (Almeno per ora).

Il web è vero ha aumentato il lavoro, anche l’aggiornamento di un sito comporta lavoro. Non sono rari i casi in cui alcuni clienti chiedano se c’è un modo per aggiornarlo quasi in automatico. Certo ci sono delle “facilities”, ma il web, continuo a sostenere con forza rischiando di essere ripetitiva, è contenuto e non bla-bla-bla. E produrre contenuti è un lavoro.

Ecco cosa penso.
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