Libere.

Giulia Cecchettin non c’è più. Uccisa dal suo ex. Uccisa perché voleva seguire la sua strada, i suoi sogni. Uccisa come altre donne che rivendicano una cosa semplice: la propria autonomia e la propria libertà. Delitti sintomo di una malattia dilagante, che intossica le menti di uomini deboli e irrisolti che decidono di uccidere pur di non lasciare la loro preda. Non mi interessano le spiegazioni psicologiche, quelle verranno dopo, ora bisogna solo dire che questi maschi uccidono le loro donne.
E se questi criminali arrivano a gesti così delittuosi, ci sono altri uomini che vivono il rapporto con la propria, moglie, compagna o ex moglie o ex compagna, senza arrivare a tali estremi, ma sempre con l’idea di schiacciare, umiliare e agire come padroni. Non dimentichiamo mai che dietro alcuni gesti, alcune parole, c’è l’idea di una donna oggettivata, proprietà da conquistare, possedere, imprigionare e umiliare. Molte di noi li hanno incontrati questi campioni tossici, magari ci siamo pure innamorate, ci siamo lasciate ingannare e siamo state abusate fisicamente o emotivamente. Molte di noi hanno conosciuto i maschi che non si fermano davanti a un “no” in virtù di sentirsi irresistibili solo perché maschi. Maschi che comunque ci fanno del male.

Dobbiamo dire ai maschi “sani” di farsi sentire e di zittire chi mette in dubbio la vittima perché, anche se sono le donne ad essere uccise, non è solo un problema nostro ma di tutta la società. Non dimentichiamo che una vittima, che non ha più possibilità di difendersi, proprio in quanto tale è sacra e chi non la rispetta, anche solo con un “se”, un “ma”, perde il diritto di parola.  Perché state zitti come se foste complici?
Dobbiamo pretendere che le istituzioni difendano noi donne, la nostra libertà e la nostra autonomia senza che questa difesa rimanga imbrigliata dalle burocrazie o da numeri verdi che alla richiesta di aiuto rispondono con il silenzio perché nessuno risponde e se risponde ti dice che se non ci sono i presupposti legali non si può fare nulla. Dobbiamo combattere lo stereotipo della donna oggetto sessuale, della donna che si “apparecchia” al miglior offerente, della donna che pur di non stare da sola si accontenta di rapporti stantii e meschini. Dobbiamo anche denunciare quanto noi donne siamo considerate di serie B, quando ci chiedono se faremo dei figli nei colloqui di lavoro, quando ci pagano meno dei colleghi maschi. Perché una società che si rispetti ci deve tutelare anche in questo. Il rispetto delle donne passa anche da questo.

Mi piange il cuore ogni volta che leggo di una donna uccisa, dal marito, dall’amante, dal compagno, dall’ex. Tutte donne che volevano riprendere in mano la propria vita ed è per questo che sono morte. Nel film della Cortellesi, c’è una unica scena che mi ha toccato, quando la madre capisce che il fidanzato della figlia non è altro che un maschilista pronto a esercitare i suoi presunti diritti con la violenza. Ecco impariamo ad aprire gli occhi e non facciamoci incantare, impariamo a leggere i segnali precursori, e allontaniamoci velocemente prima che sia troppo tardi. Come ha detto il padre di Giulia “Guardatevi bene nella vostra relazione, se avete qualsiasi avvisaglia, parlatene con chiunque vi dia fiducia, comunicatelo. E’ l’unico modo per salvarsi la vita” (La Stampa http://rb.gy/a1x6sr). E non dimentichiamoci che anche se le eroine iraniane ci sembrano appartenere ad un contesto così distante dal nostro, la loro lotta riguarda anche noi, perché anche noi siamo parte della sorellanza planetaria fatta da donne che vogliono vivere la propria libertà.

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