20 mesi di pandemia

Foto di Edwin Hooper su Unsplash

A venti mesi dall’inizio della pandemia i miei nervi, un modo banale per chiamare quelle terminazioni nervose che incidono su sentire e pressione sanguigna, sono ormai doloranti, come le dita di un violinista impegnato a suonare i Caprices di Paganini.

Diverse sono le ragioni di questo prevedibile e fastidiosissimo collasso di nervi e cercherò di metterle in un ordine concettuale accettabile.

Il primo è che stiamo vivendo una pandemia che noi, persone comuni e non studiosi di malattie e simili, pensavamo che non fosse una cosa così probabile da doverci fare i conti in modo diretto. Certo sapevamo della peste nera del trecento, della spagnola del secolo scorso, le altre epidemie di colera, vaiolo e tifo. Ma sì sono cose che si studiano e poi si dimenticano, molto velocemente, come tutte le cose sgradevoli che pensiamo appartengano ad un mondo che non è il nostro. Perché in fondo crediamo di aver tagliato un traguardo dove l’agire umano ha sempre quell’aura di magia che ci rende invincibili, come specie, come nazione, come popolo, come singolo individuo che abita nella tal via con un numero civico e un codice fiscale. Una magia mista a tecnica che alla fine arriva e ci salva. Un atteggiamento al limite della credenza popolare che fa fare ad alcuni domande imbarazzanti come: ma perché non si possono prevedere i terremoti? perché non c’è ancora la cura contro il cancro? perché la scienza non ha ancora risolto il problema della fame nel mondo? Il cambiamento climatico si può fermare?

Insomma, stupidaggini che due anni fa ci avrebbero fatto ridere, pensando che in fondo sono solo degli inutili ed innocui ignoranti. Ma oggi quelle stesse persone sono la prova vivente di un assioma inquietante: quando qualcuno parla di scienza come se fosse una religione, tutto quello che ne consegue non sarà sicuramente una buona cosa.

E così eccoci qua alla fine del 2021, ancora nelle spire del Covid, a fare ordine e pulizia nella confusione di informazione, sentimento, quotidianità facendo ricorso a una specie di metodo KonMari, per buttare via tutto ciò che non ci fa stare bene, trovandoci però alla fine in una stanza vuota. Sì perché questa pandemia ha svuotato molti di noi, alcuni altri li ha riempiti di rabbia e rancore ed altri ancora si sono fatti scivolare sopra la vita. Come diceva Robert De Niro nel film Ronin, “C’è chi fa parte della soluzione, chi del problema, chi del paesaggio”.

Chi fa parte della soluzione ha cercato di trovare un modo più o meno sano per convivere con il Covid-19, rispettando regole e avendo precauzioni. Chi fa parte del problema? Penserete subito ai no-vax, no-green pass e a tutti gli acrobati che sono saltati sul carro della non-scienza, capolinea “Il fosso degli scellerati”. Sì loro fanno parte del problema. Ma non voglio parlare di questi personaggi, si è già detto molto, troppo, hanno avuto un’eco immeritata. Vorrei solo dire che i terrapiattisti, i complottisti ovvero quel tot% minoritario della popolazione italiana che quando ha smesso di credere a Babbo Natale, a Dio e alle ideologie si è persa in un labirinto di ignoranza. Sarà stata una scuola svilita dalla gamification, ossessionata dalle nozioni e non dall’idea che si debba insegnare a pensare, sarà il riflusso, la precarietà, la povertà culturale, o le televisioni commerciali, l’intellettualismo ridotto a qualche macchia sui costosi divani dei salotti buoni. Sarà, sarà, sta di fatto che l’analfabetismo funzionale è il sintomo di una società disgregata che con l’entusiasmo di una mandria si è spiaggiata sulla riva dei socialmedia.  Un non-luogo che li ha fatti sentire unici e dove tutti potevano diventare qualcuno, perché quei tanti nessuno diventati famosi rappresentavano non solo la banalità del nulla che stava intorno, ma anche del nulla che albergava dentro.  Umberto Eco l’aveva detto,  «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Ed anche lui è stato criticato da chi in fondo vuole compiacere gli imbecilli per uno stolto narcisismo. In fondo si tratta sempre di persone malate, che antepongono il vantaggio personale al vantaggio della comunità. Al di là delle cause, che non sono mai solo individuali, vorrei dire, rasentando la scorrettezza, che questa minoranza ha tutto il mio sdegno, tanto da evitarli come la peste, paragone quanto mai azzeccato. E pertanto chiuderei qui il discorso su chi non vaccinandosi allunga la distanza tra noi tutti e una vita stancamente normale.

Vorrei invece parlare di qualcosa più sottile, che passa magari inosservato, ma che comunque ha effetti così nefasti da incancrenire le nostre fragili società e le nostre menti provate. Ma attenzione, non siamo di fronte a fenomeni nuovi, nati durante le onde di piena del Covid, ma proprio il Covid ce le ha  fatte vedere senza ammiccamenti e giustificazioni.

Il Covid ha la stessa funzione del delitto nel romanzo giallo: non ha fatto altro che rivelare una realtà che esisteva già prima del delitto. E’ stato aperto il vaso di Pandora. Abbiamo scoperto che il nostro amico fraterno, quello con cui hai condiviso merendine e primi amori, è un irriducibile no-vax e che dopo vari tentativi di dialogo metti il suo numero nella black-list, insieme alle Giulie, Marie, dalla ‘r’ debole come una ‘l’, operatrici malpagate di call-center, ed in fondo sei anche felice di liberartene. Abbiamo subito un lavaggio del cervello quotidiano sul virus, sugli ospedali, sulle morti. Servizi televisivi affamati di storie passando sopra la dignità dei protagonisti anonimi di quelle storie. Abbiamo visto suonare, ballare sui balconi. Abbiamo fatto i conti con la solitudine o con coniugi o figli da cui avremmo voluto scappare. Abbiamo progettato vite diverse sperando di riuscire a viverle. Abbiamo cercato di immaginare il futuro ubriachi di un presente al metanolo. Un cortocircuito. Abbiamo visto crollare le certezze e la convivenza con l’incertezza (non quella scientifica), diciamolo è una grande rottura di coglioni. 

In fondo non ci sarebbe molto da stupirsi perché viviamo in una società dove non solo si trova divertente il calendario 2022 intitolato  “Cani Che Cagano”, ma, fatto ancora peggiore, questo esempio di copro-editoria è acquistabile su Amazon con il bonus cultura (se non ci credete cercatelo). Chissà forse ci poteva anche stare “Umani che raccolgono”, ma in tal caso sarebbe stato difficile farsi firmare la liberatoria. E così mentre stai decidendo se fare il simpatico regalo con le immagini di defecazione canina, tra i suggerimenti ti verrà proposto dall’AI di Amazon un  libello altrettanto simpatico su cosa fare quando sarai un pensionato, ovvero quando farai parte del paesaggio.

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