Web 2.0 Expo, New York

Niuna impresa, per minima che sia, può avere cominciamento o fine senza queste tre cose, cioè senza potere, e senza sapere, e senza con amore volere.
“Breve” dell’arte dei pittori di Siena – XIV century

Andare al Web 2.0 Expo a New York? E’ possibile. A me è successo. Sì devo dire proprio così: «è successo».
Quando mi arrivò la mail che annunciava l’evento mondiale del web, tra me e me dissi «Sarebbe fichissimo andarci» [perdonate il termine, ma in questo caso il realismo è d’obbligo]. Lessi che era possibile proporre un intervento. «Sarebbe bello avere qualcosa da proporre…» dissi sempre tra me e me. Ma da proporre forse l’avevo. Per almeno 4 anni avevo realizzato progetti web in protezione civile con un approccio innovativo. Beh, forse, chissà, meglio tentare, «tanto al massimo diranno no grazie, ….». Così scrissi una pagina in cui raccontavo della mia esperienza e delle mie idee su come utilizzare il web per la gestione delle informazioni in emergenza e che intitolai “Building Civil Protection 2.0”.

Inviai e… devo dire che non ci pensai più. C’era il terremoto in Abruzzo, andavo e venivo da Roio Piano, come folgorata sulla via di Damasco. Avevo anche il mio lavoro e la mia vita. Non ci pensai proprio più.

A Giugno ricevetti una mail, sembrava l’ennesima newsletter da cestinare [sì perché lo ammetto non le leggo tutte], ma l’oggetto saltò agli occhi appena qualche istante prima di cancellarla: «Proposal Accepted», questo diceva. Per farla in breve avevano accettato la mia proposta, ed ero a tutti gli effetti uno dei relatori del Web 2.0 Expo, nella sessione Gov 2.0, che si sarebbe tenuto a novembre a New York. «Non ci posso credere!» E invece era vero ed era scritto nero su bianco.
I mesi passarono. Arrivò novembre, non un bellissimo periodo devo ammettere. Scrissi la presentazione e mi apprestai a partire, non senza qualche dubbio.

Stacco.

Così eccomi a New York, la città che non dorme mai. Una città come l’abbiamo vista in tanti film e serie tv. La città dove veramente i taxi si fermano quando alzi il braccio, dove puoi comprare libri e altre amenità a qualsiasi ora del giorno e della notte, dove mangi qualsiasi tipo di cibo tu voglia. E’ una metropoli. E’ New York. Nulla da aggiungere a tutto quello che è stato scritto o letto. Una cosa però vorrei dirla: che non mi sono sentita spaesata, stranamente a mio agio.

La conferenza iniziò ed era interessante. C’erano tutti i grandi nomi da Tim O’Reilly agli inventori di Digg. Tra gli altri mi colpì l’intervento di una rappresentante del governo americano che illustrò l’approccio Open Government. Pensai che da noi nessuno avrebbe avuto l’ardire di affrontare in modo così «open» la relazione governo/cittadino, da noi, beh sappiamo come vanno le cose. In quei giorni capii anche una cosa. Molto spesso ho sentito dire, da noi europei, che gli americani sono come dei bambini. E’ vero, ma dei bambini hanno mantenuto la capacità di stupirsi e di essere curiosi, e soprattutto di ascoltare ciò che hai da dire, valutando quello che dici, e non l’etichetta che hai. Almeno le persone che ho conosciuto alla conferenza. D’accordo forse mancava un po’ di approccio critico, ma non c’era quella fastidiosissima “puzza-al-naso” che invece troppe volte ho percepito nei nostri convegni italiani.

Così arrivò il fatidico giorno della mia presentazione e confesso che avevo un po’ di timore: un intervento di cinquanta minuti in inglese, non è cosa da poco. Ma come sempre mi accade, quando salii sul palco la paura svanì e prese il posto la voglia di raccontare la mia esperienza e il mio lavoro, con passione e con razionalità. La platea reagiva e faceva domande. Vi assicuro una bellissima esperienza umana e professionale.

Alla fine del mio intervento diverse persone si avvicinarono per complimentarsi, tra queste Kitty Wooley che volle conoscermi e testualmente «voleva sapere tutto di me». Con lei iniziammo allora una conversazione che dura ancora oggi. Le “Conversazioni Americane” le chiamo. Affrontiamo diversi argomenti, scambiamo idee e opinioni sul web, ma soprattutto sugli esseri umani e sulle differenze culturali dei nostri rispettivi paesi, scoprendo che sono minori di quanto si possa pensare. E’ istruttivo e stimolante parlare con Kitty. Grazie al suo interesse per il mio lavoro ho avuto l’opportunità di rifare la mia presentazione ad un gruppo di persone del suo network Senior Fellows & Friends il 16 gennaio di quest’anno. (Non dimentico Giorgio Poletti dell’Università di Ferrara che ha messo a disposizione AdobeConnect per la teleconferenza, Silvio Francescon, Sabina Di Franco, Antonella Ongaro e Roberto Pizzicannella che hanno partecipato attivamente all’incontro).

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