Threads

Era il 1984. La BBC mette in onda Threads un «television drama», oggi diremmo «docu-fiction», su una guerra nucleare e gli effetti in una città del northern england: Sheffield. Sì, Sheffield, quella di Full Monty, del gruppo di disoccupati che si converte in gruppo di spogliarellisti. Proprio quella. Si vede che quella città ha un qualche legame con la caduta e la risalita.

E Threads letteralmente vuol dire filo. Viene usato per dire anche “ricominciare da capo”, noi diremmo “riprendere il filo”. La sceneggiatura non è indulgente, non c’è un lieto fine, ma c’è la sopravvivenza di pochi umani, che di umano hanno perso molto. Era il 1984. Un anno prima era uscito «The Day After», e c’era il movimento contro il nucleare. Dopo qualche anno, 1986, la realtà batté i record di incassi con Černobyl’.
Sembra un secolo fa. Un’era geologica per le nostre menti veloci, che postano il quotidiano su facebook e sono sempre connessi. Appesi. A un filo. Fili fragili. Ma importanti. Perché abbiamo lanciato uno sguardo all’altro capo del mondo per assistere inermi al disastro in Giappone.
Disastro articolato. Un terremoto. Lo Tsunami. Cose con le quali, nel bene o nel male, i giapponesi convivono e alle quali si preparano. Loro la «preparedness» [preparare strutture, attrezzature e procedure da usare in caso di disastro] la fanno, bene e con disciplina. Costruiscono grattacieli flessibili come dei giunchi. Il terremoto arriva comunque. Lo tsunami arriva e travolge persone e cose. Comunque. Prevenire serve. Comunque. Perché se quel terremoto avesse trovato una città come L’Aquila, o Roma, Palermo… si sarebbe sbriciolato tutto.

Ma questo terremoto ha trovato sulla sua strada una centrale nucleare. Sicura? Sicurissima, affermava qualcuno a favore del nucleare qualche giorno prima, da una comoda poltrona in una trasmissione televisiva. Sicura fino a quando il terremoto è solo una probabilità teorica. E questa probabilità è accaduta.
Sicura una centrale nucleare? Non ne so molto. E’ troppo complessa. So solo che le radiazioni fanno morire. Si può essere pronti a qualcosa che fa morire? Secondo me, «essere pronti» significa però qualcosa di più grande. Significa anche non correre rischi. Rischi che invece sembrano «calcolabili».

Il rischio è dato da probabilità e vulnerabilità. E in un’astrazione matematica, in quella piccola percentuale ci sono i tuoi amici, i tuoi figli, te stesso. Una piccola percentuale spazza via i sentimenti, ricordi, sorrisi, amori, futuro. Questo sta dentro quella piccola percentuale.
Una centrale nucleare è pericolosa. Ed è sicura fino a prova contraria. L’inferenza logica induttiva dice che se vedo un primo corvo nero, un secondo ancora nero, ed un terzo sempre nero, il prossimo corvo che vedrò sarà probabilmente nero. E da qui si generalizza che tutti i corvi siano probabilmente neri. Probabilmente. Una parola che racchiude una possibilità. Bertrand Russel aveva capito il trucco e ironizzando inventò il tacchino induttivista: il tacchino viene nutrito tutti i giorni con implacabile puntualità, e pensa che anche domani avrà la sua dose di granaglie…. ma “domani” è il giorno del Ringraziamento.
Ecco noi siamo quei tacchini. Che calcolano probabilità e rischiano.
Il nostro Ministro dell’Ambiente è inflessibile nel correre questo rischio. Non correrlo significherebbe cosa? Non rischiare? Perdere qualcosa. Denari? Potere? E allora…. corriamo il rischio. Noi, in un paese con un conclamato rischio sismico.
Ho scritto una storia su questo. Su questa corsa pericolosa nella quale noi, esseri umani, ci siamo ormai buttati senza freni. Ma la realtà. La realtà mi ha rubato la fantasia. E’ un monito che ha spezzato un filo.

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