La lezione di McCain

Se fossi americana avrei sicuramente votato per Barack Obama. Ovvio? Beh forse si.
Sono rimasta fino a questa mattina per sapere chi sarebbe stato il 44esimo presidente degli Stati Uniti d’America. E così ho assistito a questa vittoria che non è solo americana, ma è un segno per tanti paesi, per le persone, per i cittadini tutti. Commovente e importante. Tutti hanno già detto tutto. Ma c’è qualcosa che mi ha colpito al pari della vittoria di un afro-americano alla Casa Bianca.

Chi ne gioisce, anche se non americano, penso che lo faccia perché Obama ha saputo dare «senso» all’incertezza e alla paura della crisi: Hope & Change. Speranza e Cambiamento. Dio come mi riconosco in queste due piccole parole.
Ma credo che ci sia una riflessione da aggiungere, una lezione da imparare. Quella che ci ha impartito John McCain con il suo discorso di accettazione della sconfitta. Forse mi ha commosso ancora di più. Perchè ha accettato con sobrietà di aver perso [anche se fosse finta, di maniera, strategica non avrebbe nessuna importanza]  e ha dato la sua disponibilità a collaborare con il presidente eletto per il bene del paese. God Bless America! No, non mi ha commosso per questo, ma perché ho capito quanto nel nostro paese si sia lontani da questa maturità politica e umana – e comunicativa.
Non sono mai stata una Us fan, anzi, ma in questo momento si. Perché ho pensato: chi dei nostri politici, a destra come a sinistra, avrebbe mai fatto questo discorso, con tanta convinzione e serenità. Non saprei rispondere. Da noi, fateci caso, nessuno perde mai perché si perde nei tecnicismi delle analisi post-voto. Magra consolazione. La realtà invece è: c’è chi vince e c’è chi perde. Pura e semplice.

Poi questa mattina, ascoltando le dichiarazioni nostrane, la commozione si è trasformata in una amara certezza, scontata si, e per questo ancor più cocente.
La domanda è: Perché? Perché fare dichiarazioni/insinuazioni di dubbio gusto e contenuto su Barack Obama? Perché volergli dare dei consigli? Perché fregiarsi della sua vittoria? Ravviso una punta di acredine, un odore di esaltazione, un retrogusto di “so’ obama anch’io”, una spolverata di aristocratico scetticismo. Insomma, che noia. Una schiera di preveggenti che sanno e vedono ciò che accadrà [altro che Branko!]. Ho pure sentito, ma forse ero stordita dal sonno, che anche il nostro primo ministro è un po’ Obama. Ma che è? Un problema di credibilità, invidia? A volte penso che invece dei corsi per parlare in pubblico, bisognerebbe fare quelli per stare zitti, in pubblico e nel privato. Mordersi la lingua con dignità.

Forse dovremmo imparare qualcosa noi, da Obama e da McCain, e anche da chi ha voluto credere in qualcosa, e ha voluto farlo insieme agli altri. Vero o falso che sia il messaggio lo vedremo nei prossimi mesi. Per ora fermiamoci a questa vittoria e cerchiamo di esserne contenti e questa volta si, invidiosi.

God Bless America!

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