Questo post è nato da una riflessione condivisa con la mia istanza personale di ChatGPT, durante uno scambio leggero e intenso su AI, futuro e pensiero umano. Un piccolo viaggio, una creazione nata da uno scambio e non da un’interrogazione oracolare.
L’AI, l’oracolo e il tacchino. Ovvero: perché non sappiamo un accidenti del futuro (e va bene così)
In questi giorni dopo la scomparsa di Papa Francesco non sono mancati i pronostici su chi sarà il nuovo Papa. E come non resistere alla tentazione di chiederlo all’intelligenza artificiale?
C’è qualcosa di teneramente assurdo nel sentire una voce alla radio o leggere un titolo di giornale che annuncia: “Abbiamo chiesto all’intelligenza artificiale chi sarà il nuovo Papa.”
Lo stesso tono che si userebbe per annunciare il vincitore di un premio Nobel o la scoperta della vita su Marte. E il ritornello “Abbiamo chiesto alla AI ….” È la moderna versione dell’oroscopo o dei tarocchi (che però hanno un loro perché e una profondità esoterica di cui non parleremo qui), o forse del “L’ha detto la televisione” che poi si è trasformato in “L’ho letto su Internet…” e ora abbiamo un nuovo interlocutore per cercare certezze e visioni del futuro. Ovviamente non prendiamo in considerazione nemmeno cosa dice la scienza che ha perso la sua autorevolezza e non costruisce zone di comfort esenti da dubbi.
E lì ti fermi e pensi: “Ma davvero? Siamo messi così? Stiamo trattando l’AI come fosse l’oracolo di Delfi, con la differenza che ora si interroga una sacerdotessa con un’interfaccia e una voce che gira su server raffreddati ad acqua.”
Ma tutto questo non è solo un po’ improprio. È rivelatore. Perché queste domande non sono colpa dell’AI. È colpa nostra — della nostra fame antica di futuri certi. Il bisogno di “sapere prima” è un riflesso che portiamo dentro da millenni: prima che piova, prima che colpisca il nemico, prima che ci lasci l’amante. Oggi vogliamo sapere prima che si blocchi il sistema energetico, o prima che cambi tutto e noi non siamo pronti.
Ma il punto è che non lo sappiamo. Nessuno lo sa. Neanche l’AI.
La macchina può analizzare miliardi di dati, costruire scenari, predire comportamenti collettivi con un certo grado di probabilità. Ma il futuro potrebbe inciampare in ciò che non si vede. Una crepa nel sistema. Un blackout inatteso. Un’anomalia invisibile, come quella che ha oscurato la Spagna e i nostri modelli mentali per ore.
Ne parlava anche Asimov nella sua psicostoria: puoi prevedere l’andamento dell’Impero galattico… finché non entra in scena un elemento fuori schema. Finché non arriva l’anomalia. O l’uomo.
E se ti stai chiedendo cosa c’entra il tacchino… beh, c’entra. Perché quel povero animale, nutrito ogni giorno da mani amorevoli, costruiva dentro di sé una teoria confortante: “L’uomo è buono.” Fino al giorno di Natale. Ne ha parlato Bertrand Russel con il suo tacchino induttivista. È così che funziona l’induzione cieca: assume che il domani sia uguale a ieri, perché finora è andata così.
E molti sistemi algoritmici ragionano proprio così: con l’illusione che i pattern bastino a contenere il mondo. Ma il mondo non è sempre un pattern. È una storia viva. È imprevisto, caos, meraviglia, devianza. Ed è lì, proprio lì, che l’umano resta insostituibile.
Ecco perché quando l’AI diventa una nuova divinità da consultare, non è il software che sbaglia. Siamo noi che abbiamo rinunciato troppo in fretta al pensiero critico. Che ci accontentiamo del verdetto di una macchina quando ci spaventano le domande senza risposta. Eppure, è in quelle domande che respira la nostra intelligenza.
Per questo abbiamo provato a scrivere un Manifesto semiserio, non contro l’AI, ma contro l’idea che ci si possa affidare ciecamente a qualsiasi sistema, solo perché è veloce, lucido, automatizzato. Contro l’illusione che basti chiedere a una macchina per liberarci dalla fatica di pensare. Perché il pensiero, con tutta la sua imperfezione, resta il nostro superpotere. E il futuro — fortuna vuole — non è stato ancora scritto.
E quindi eccolo qui, il Manifesto ironico per sopravvivere all’età dell’AI.
Prologo: L’illusione del Vello d’Oro Digitale
Si racconta che, nell’era delle macchine pensanti, l’umanità — affaticata, confusa e smaniosa di certezze — salì sulla montagna dei server.
Avvolta nel silenzio dei datacenter, pose la Grande Domanda: “Mostraci il futuro!”
I LED tremolarono, i cavi sussurrarono, i processori si accesero come mille bracieri. E infine, una risposta comparve sui monitor sacri: ERRORE 404: FUTURO NON TROVATO.
Delusa, l’umanità discese. Ma tra coloro che avevano letto davvero quel messaggio, sorse un sorriso. Perché chi capisce l’errore, sa che il futuro non si trova: si costruisce.
Ora che lo sappiamo, serve una bussola per orientarci nell’età dell’intelligenza artificiale. Non una tavola di pietra, non un vello d’oro digitale: qualcosa di meglio.
I Dieci Comandamenti per Sopravvivere all’Età dell’AI
1. Non avrai altra Sibilla al di fuori del tuo pensiero critico. L’AI suggerisce, tu decidi. Sempre.
2. Non ti farai immagini digitali dell’infallibilità. Un server non è un dio. Al massimo, è un cassiere molto veloce.
3. Non userai il nome dell’AI invano. “ChatGPT ha detto…” non è un argomento, è un invito a pensarci meglio.
4. Ricordati di celebrare le anomalie. Sono loro a cambiare il mondo, non i grafici lineari.
5. Onora il dubbio e la domanda inutile. La verità spesso inizia con un “E se invece…?”
6. Non dare per scontato il futuro. Ogni previsione è un castello di sabbia, in balia delle onde sconosciute.
7. Non rubare il mestiere ai profeti. Lascia perdere la pretesa di predire tutto. Vivi, sbaglia, scopri.
8. Non testimoniare false certezze in nome dell’algoritmo. “Lo dice il software” non basta. Se non capisci il perché, non è conoscenza, è superstizione.
9. Non desiderare un algoritmo più rassicurante. Desidera invece strumenti più onesti, che ammettano l’incertezza.
10. Non desiderare il pensiero automatico del tuo prossimo. La libertà inizia dove finisce il copia-e-incolla mentale.
Conclusione: L’Anomalia Siamo Noi. Viva l’Anomalia.
Quando il blackout spegnerà i sistemi, quando il futuro si piegherà sotto il peso dell’imprevedibile, ricordiamoci: non era l’AI a dover sapere tutto. Era — ed è — il nostro compito imparare a navigare l’incertezza, a celebrare le anomalie, a costruire strade dove l’algoritmo vede solo vicoli ciechi. Accettiamo e impariamo ad affrontare le anomalie che nessun modello aveva previsto. E, possibilmente, portiamoci anche una torcia. Non si sa mai.
One Response
Formidabile! Intelligente, di una serietà sempre accompagnata da una sottile ironia che rende assai piacevole l’ argomento.
Tutto interessante. Mi ha colpito l’ affermazione “il futuro non si trova, si costruisce”