Bye Bye Humans – The making of

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Bye-bye Humans nasce, come spesso accade per qualsiasi lavoro creativo, grazie ad un cortocircuito di elementi non razionali e non casuali. Mentre l’interpretazione di un’idea creativa, come lo stesso titolo dell’opera,  è un processo successivo che serve per spiegare, far comprendere, condividere; in sintesi, per comunicare  il proprio pensiero sul mondo.

Quindi ciò che sto per raccontare è qualcosa che razionalizza il lavoro creativo e lo veste con un codice linguistico e narrativo,  affinché una parte del suo significato si apra generosamente a chi  guarda. E chi guarda, vedrà anche altro e creerà, a sua volta, altre rappresentazioni visive o altre narrazioni.

Quest’anno, anno domini 2019, ho iniziato a frequentare una scuola di pittura. Una scelta bizzarra per me che avevo praticato la pittura solo alle scuole medie e con scarsi risultati per di più.

Tutto è iniziato dal bisogno di far uscire la mia creatività, senza che fosse mediata da strumenti come la scrittura che vanno a pescare troppo nel mio “razionale”.

Ho trovato una scuola di pittura con un corso serale. Un giorno sono entrata e mi sono presentata a Riccardo Ruberti, artista e titolare responsabile dell’associazione culturale dePictura di Livorno.  Devo essergli sembrata una persona strana quando gli ho detto: “Non mi interessa imparare a disegnare persone, oggetti o animali. Mi piace l’arte astratta. Vorrei fare questo corso come se fosse un percorso di arte terapia”. Riccardo, persona gentile, umana e molto paziente, mi disse che solitamente la scuola prevede un percorso figurativo, poi mi guardò e rispose: “Proviamo”.

Ogni lunedì sera, da gennaio fino a giugno, ho frequentato il corso. Riccardo mi ha insegnato diverse tecniche e mi ha guidato cercando di farmi trovare una strada “espressiva” attraverso la pittura informale.  Un giorno portai alcune immagini satellitari che per me erano belle da vedere come delle opere d’arte. Ne scegliemmo una: un’immagine della NASA di un piccolo tratto della costa Australiana e così cominciai a riprodurla su una carta pittura.

Una volta finito il lavoro Riccardo mi lanciò un’idea: “Perché non la tagliamo e la ricomponiamo?”
Sperimentare? Cosa potevo rispondere se non “Assolutamente sì”.
La tagliammo e quando si trattò di ricomporre il puzzle mi venne un’idea.

Erano i giorni dei Fridays for Future, i ragazzi che come Greta si battono per ridurre gli effetti del cambiamento climatico. Premetto che l’impegno di questi ragazzi è di grandissima importanza, soprattutto in un panorama politico dove gli scenari climatici sembrano l’ultima delle preoccupazioni. Nelle manifestazioni c’erano cartelli che esortavano a salvare il pianeta.  I giovani attivisti del movimento FFF chiedono di riflettere, chiedono di agire, ma non è il pianeta a rischiare siamo noi ad essere in pericolo. Come dice Samantha Cristoforetti: “La Terra è forte, siamo noi ad essere fragili“.

Secondo me, infatti, il punto non è salvare il pianeta, ma salvare la specie umana. Questo spostamento semantico credo sia cruciale, perché non è dicendo salviamo il pianeta che ci si assolve da un approccio antropocentrico. Anzi.

Dire “salviamo la nostra specie” o meglio salviamo la nostra specie da un suicidio di massa, sarebbe più corretto e rimetterebbe al centro il genere umano come attore e autore non solo di una distruzione folle del pianeta per come lo conosciamo ma di un attentato all’esistenza della nostra stessa specie.

Così mi venne l’idea di una terra frantumata che si eleva sulle macerie della civiltà umana.

le fasi di realizzazione